Recensione di Elisabetta Bolondi
Autore: Durlacher Jessica
Titolo: La figlia
Editore: Bompiani
Rapida e coinvolgente la scrittura di questo romanzo della giovane olandese che attraverso la voce di Max, l’io narrante della storia, ci racconta la storia d’amore intensa con Sabine, giovane ed inquietante ragazza ebrea che lavora come guida nella casa di Anna Frank. Dopo un avvio convenzionale ed il racconto di una amore fra giovani ventenni, inspiegabilmente Sabine scompare non lasciando traccia di sé, e solo dopo quindici anni Max la rincontrerà casualmente a Francoforte, alla fiera del libro:lei è diventata una fotografa che vive a Los Angeles, lui un editore. Ma Sabine sempre misteriosa è in compagnia di Sam, un anziano produttore americano a cui è legata in un modo indecifrabile, come misteriosa resta la vita di Sabine, malgrado abbia accettato di riprendere la relazione con Max. Il mistero si chiarirà dopo la seconda sparizione della donna, allorchè Max riuscirà a scoprire il profondo senso di colpa che Sabine prova dopo aver aprreso che suo padre è stato un filonazista, traditore degli ebrei nascosti nella sua casa, tra cui lo stesso Sam, e probabile assassino della stessa famiglia di Max. Il libro in chiave romanzesca ripercorre ancora una volta l’itinerario psicologico dei sopravvissuti ( il padre di Max, sua zia Judith, Sam, Lisa Stern e dei loro figli ( Max, Sabine, Lana, Lisa,) tutti a vario titolo sconvolti dal dramma che ha coinvolto i loro genitori sia che questi ne abbiano parlato, e soprattutto se ne hanno taciuto. Il fatto che alla fine l’amore trionfi avviene attraverso un lungo e profondo itinerario di dolore che non risparmia nessuno dei personaggi di questo bel romanzo.

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