Campo San Polo 2024 di Antonietta Sammartano

Ritrovare una persona conosciuta tanti anni prima inaspettatamente è già una sorpresa: ma scoprirla autrice di un libro di memorie storico-familiari, risalenti a molto tempo prima, addirittura ad anni difficili alla sua infanzia, è davvero un regalo imprevisto e per questo tanto più apprezzato.
“La Felici” era una giovane insegnante di lettere al mio liceo alla metà degli anni 60, prima del 68 per intenderci: si studiava molto e seriamente, e quando si incontravano bravi professori (non tutti, ma parecchi) la scuola era un piacere ed era capace di lasciare, nel corso degli anni, anche la voglia di diventare insegnanti a nostra volta, per emularli, in qualche modo.

Ora che da insegnante sono in pensione, mi è restata la voglia della lettura mentre ad Antonietta è tornata, dopo tanto tempo e molte incertezze, la voglia della scrittura: da questo incrocio, insegnante/alunna, lettura/scrittura, nasce l’idea di questo incontro che ha per scopo di presentare un libro piccolo ma importante: l’autrice infatti, nel raccontare un anno particolare nella storia del nostro paese, il 1943, ci racconta parlando di sé, bambina di dieci anni, e della sua famiglia, un pezzo di storia inedita e poco raccontata, quella cioè dei vinti, e non quella, più nota, dei vincitori.
Come aveva già fatto qualche anno fa l’artista cantante Francesco De Gregori nella canzone “Il cuoco di Salò”, in cui si racconta appunto la vicenda di un cuoco che a Venezia cucina piatti squisiti per le attrici fuggite da Roma, e può affermare “Anche in un naufragio si deve mangiare”; o come ha descritto recentemente nel suo romanzo “Accanto alla tigre” lo scrittore cinquantenne Lorenzo Pavolini, nipote del gerarca Alessandro, raffinato intellettuale ma fascista implacabile, ucciso a Piazzale Loreto insieme a Mussolini e alla Petacci, anche Antonietta Sammartano torna indietro nel tempo e descrive la sua vita di bambina serena e privilegiata in una bella casa del quartiere Parioli a Roma fino alla guerra che implacabile distrugge tutte le certezze: il padre infatti è a sua volta un raffinato intellettuale, professore di filosofia in servizio al Ministero della Cultura Popolare: crede nel Fascismo, è amico di Giovanni Gentile, seguace di Bottai, “un fascista critico” come lo definì in un suo interessante volume lo storico Giordano Bruno Guerri, è uomo di studi e di pensiero, si occupa di pedagogia, fonda riviste, aiutato dalla giovane moglie, ma la ruota della storia è ovviamente implacabile: dopo l’8 settembre il governo fascista in fuga si trasferisce al Nord, e la famiglia Sammartano trova accoglienza presso una nobile Contessa veneziana di cui occupa un’ala dell’aristocratico palazzo, dotato di mobili e suppellettili di gran pregio oltre al personale di servizio efficiente e cerimonioso. La famiglia dunque si accomoda nella grande casa e la piccola Antonietta vive come in un sogno questa imprevista avventura: la casa stessa, la corte interna, la vista sul canale, la tavola (sporca) ma sempre apparecchiata, un misterioso grande armadio pieno di giocattoli straordinari di cui la bambina curiosa e annoiata si appropria di nascosto e che, scoperta, dovrà restituire ( le resta solo un piccolissimo bricco di porcellana, ricordo di quel tempo favoloso e lontano). In quei mesi strani nasce il fratello Giancarlo, muore il nonno a Pisa, si ammala di un grave“esaurimento nervoso” il fratello maggiore….la ragazzina ha compiuto undici anni, è ancora tutta immersa nell’infanzia inconsapevole, ma la guerra si sta avvicinando anche a Venezia che viene bombardata, mentre la linea gotica ormai la separa da Roma e dal resto dell’Italia; giungono nella casa della Contessa nuovi personaggi, nonna, zia Jole e cugina Anna da Pisa, anche esse rifugiate malvolentieri nel palazzo della Contessa…La vita sembra ancora per un po’ proseguire quasi normalmente malgrado la tempesta imminente: si fa vita sociale nelle ambasciate, si va a teatro (Goldoni, Ugo Betti, una pièce con Diana Torrieri), a scuola al Marco Polo, si gioca con gli amici, si costruiscono imprese commerciali per vendere profumi fatti di fiori schiacciati….i bambini non sanno ancora ciò che li attende, i grandi purtroppo si; le certezze di chi ha seguito il fascismo si stanno sfaldando. Il 25 aprile ormai è vicino e questa data, che segna la fine del fascismo di Salò, sarà drammatica per la famiglia della narratrice….Il padre e il fratello partono per Milano in macchina, ma la fila delle automobili sulla strada per Verona è impraticabile e il padre è costretto a tornare indietro: in questo modo avrà salva la vita, mentre a Milano si consuma il dramma di Piazzale Loreto. Anche il fratello Ruggero riuscirà a salvarsi, grazie all’aiuto di una famiglia milanese di persone ostili al regime, ma che avevano ricevuto aiuti dal padre.
“Mezzasoma è morto, Cucco ( il sottosegretario del Ministero della Cultura Popolare) e Sammartano dove sono??”: la condizione di quest’uomo diviene difficilissima. Deve trovare diversi nascondigli, persone compiacenti, la caccia al fascista non trova tregua e per lui la vita diventa una vera scommessa. Sono pagine difficilissime e dolorose della guerra civile che ha insanguinato l’Italia in quei mesi terribili, mentre la narratrice è passata improvvisamente da una condizione di innocenza e di spensieratezza, alla perdita della leggerezza e del mondo dorato dell’infanzia: a dodici anni è diventata un’adulta, a cui saranno chieste prove di coraggio e prontezza di reazioni di fronte al grande dramma che il nostro paese ha vissuto dolorosamente.
La decisione di tornare a Roma , a casa, è una decisione coraggiosa ma priva di alternative. La madre, precocemente invecchiata per le prove durissime a cui non si è sottratta, affronta con coraggio e determinazione il lungo viaggio verso Roma, su un camion di fortuna, con l’ostilità malcelata dell’autista, in mezzo a devastazioni, posti di blocco e il caos che aveva seguito le giornate difficili del dopo 25 aprile. La casa dei Parioli, lasciata precipitosamente dopo la fuga a Venezia, è ora abitata da un dipendente del Ministero che tuttavia abitandola, l’ha salvata, e la riconsegnerà ai vecchi padroni. Ma il padre non può tornare a casa: anche se la guerra civile è ufficialmente finita, odi e vendette nei confronti dei fascisti e di chi li ha sostenuti stenta a placarsi. La madre comincerà un’azione diplomatica presso i portieri della elegante via Barnaba Oriani per avere il beneplacito al rientro a casa del Professore, che continua la sua vita di latitante.
Quando finalmente, una notte in gran segreto, complice la stessa narratrice, riesce a rientrare a casa sua, la sua vita continua a lungo ad essere in pericolo. Un giornale del tempo in un trafiletto scrive: “ Diavolo di un uomo, dove siete nascosto? Forse in Vaticano?” Ogni squillo di campanello costringe il professore ad un avvilente nascondiglio creato nell’appartamento per lui, mentre si aggira quasi spaesato e privo dell’autorevolezza che emanava. Si concludono così le brevi ed intense memorie di Antonietta, riprese in mano più volte ma ora, a quasi settanta anni da quei fatti, divenute un impegno improrogabile.
Come definire dal punto di vista letterario questo piccolo libro? Un diario? Una cronaca? A me è sembrato soprattutto un romanzo di iniziazione, la storia personale di una bambina normale che si trova, suo malgrado, in mezzo alla tempesta della grande Storia che la costringe ad una crescita e ad una maturazione rapidissima. Il mondo dei libri, della serenità, dei giochi, delle fantasie infantili si infrange contro il muro delle vicende politiche di un paese che deve cambiare pagina, deve rinascere dalle ceneri di una dittatura alla quale molti uomini onesti avevano dato fiducia, una fiducia forse immeritata.
Molti uomini del regime si erano precocemente riconvertiti al nuovo corso, il professor Sammartano no. Aveva conservato la sua coerenza, e ne ha dovuto pagare le necessarie conseguenze.
La figlia-narratrice non giudica, racconta con intensa partecipazione una storia familiare, politica, sociale che ha coinvolto non solo la sua famiglia, ma decine di migliaia di italiani.
Epurazione, vendetta, amnistia sono parole oggi dimenticate, ma con queste hanno dovuto fare i conti le tante famiglie italiane che si erano legate al fascismo delle origini per paura dei “rossi”, che avevano continuato a crederci malgrado tutto in quei giorni difficili. Raccontarle con leggerezza ed onestà intellettuale tanto tempo dopo, senza l’urgenza delle ferite inferte, con la consapevolezza storica della studiosa, è un’operazione culturale corretta e necessaria alla quale l’autrice non ha potuto né voluto sottrarsi.
Molto bella ed appropriata la copertina del libro, che riproduce un quadro del pittore siciliano Alfonso Amorelli, amico di famiglia, nello stile della “Scuola romana” tanto in voga negli anni trenta, che ritrae la mamma della autrice, silenziosa eroina di questa piccola saga familiare, seduta su una poltrona, con un lieve sorriso, le braccia incrociate e un fiore tra le dita: un contrasto forte tra la vita agiata e serena di prima della guerra, e quella successiva all’anno orribile, il 1943, che è il punto di partenza dei ricordi contenuti nel libro.
Cosa è successo dopo?
L’autrice ce lo racconterà in un altro libro, sappiamo però che il padre è stato reintegrato nei suoi uffici di insegnante e di pedagogista, a scuola e al Ministero, data la profonda correttezza e competenza della sua persona: oggi una strada di Mazara del Vallo lo ricorda.

09-05-2014